Piaccia o non piaccia, il regista Paolo Sorrentino ha uno stile filmico riconoscibile ed è bravissimo a raccontare la sgradevolezza e il putridume “cafonal” di una certa Italia. Ebbene, Teresa Ciabatti, alla sua terza prova romanzesca, è senza dubbio il suo corrispettivo femminile e letterario. Con una scrittura che è ancora più inconfondibile e feroce – e che non scivola mai nel grottesco, e tanto meno si arrocca dietro il giudizio morale – Teresa Ciabatti ha scritto, con un misto di affetto e crudeltà, il libro definitivo sul “generone” romano. “Il mio paradiso è deserto” (Rizzoli, 17 euro, 285 pagine) è la storia di una famiglia, i Bonifazi, milionari grazie al business della spazzatura. Nella foto – ritoccatissima – apparsa su “Class”, li vediamo seduti sul divano bianco nella loro villa sfarzosa alle porte della Capitale. Marta Bonifazi, la figlia ventiduenne, è l’unica che stona in quell’atmosfera stucchevole che gli americani chiamerebbero semplicemente cheesy. Perché Marta è obesa. Il suo corpo, grasso e deforme, porta con sé tutte le ipocrisie della sua finta famiglia felice, un corpo che Marta odia e che tenta di prosciugare con la liposuzione, un corpo che nasconde ormai da tre anni, perché sono tre anni che Marta non mette piede fuori di casa. Ricco di colpi di scena e sorretto da una trama sorprendentemente tesa e misurata, il libro piacerà molto ai lettori di Alice Munro e Joyce Carol Oates, ma anche a quelli di Stephen King.
“È una storia d’amore”, ci confonde le idee Teresa Ciabatti davanti a una centrifuga alla carota in un caffè romano. Nata a Orbetello 38 anni fa e sposata con lo scrittore e sceneggiatore Antonio Leotti, Teresa Ciabatti ha scritto anche per il cinema, con Luca Lucini e Susanna Nicchiarelli.
In che senso una storia d’amore?
Ho una visione un po’ diversa del bene e del male. Credo che il bene stia nelle piccole cose. Questa, per me, è la storia sentimentale di una famiglia anaffettiva.
Però il tono è quello di una black comedy…
Sì l’idea della black comedy mi piace molto. Io l’ho scritto con il punto di vista dell’arrampicatrice sociale, la prospettiva di chi ha una reale ammirazione per la ricchezza. Arrivata da Orbetello a Roma a 16 anni, mi sono trovata ai Parioli, in un mondo che mi escludeva e in cui io cercavo di entrare.
“Il mio paradiso è deserto” è anche una celebrazione di un fallimento, quello della famiglia.
Penso che continuerò tutta la vita a scrivere di famiglie. L’amore dei genitori è sempre in bilico tra desiderio di protezione e distruzione. Ci mette un secondo l’amore, a distruggere, ed è difficile che non succeda.
Nel libro ci sono vari personaggi dell’Italia corrotta. Ha preso ispirazione dalle cronache?
In parte sì. Per creare il personaggio di Attilio Bonifazi ho ripensato alla storia di Angelo Balducci, ex sottosegretario ai Lavori pubblici che si faceva portare a casa i ragazzi immigrati promettendo loro permesso di soggiorno. L’intercettazione riportata nel libro è quasi identica a quella reale. Ma naturalmente c’è in lui anche molto di Manlio Cerroni, il padrone della più grande discarica d’Europa a Malagrotta, l’uomo più ricco del Lazio. Oggi è chiusa, ma Cerroni è responsabile di aver inquinato un intero quartiere e di aver ostacolato la raccolta differenziata a Roma. Il vecchio senatore Giovanni, assomiglia a Emilio Colombo, il senatore che trovarono in possesso di cocaina e disse che era per uso personale.
Se il suo libro fosse un film chi sognerebbe a dirigerlo?
Sorrentino sarebbe l’unico regista a mantenere obesa Marta, la protagonista. E poi Sorrentino sa raccontare gli eccessi con misura, le cose sgradevoli con amore. E io non immagino un film sul degrado, al contrario immagino perfino le scene sulla spazzatura come una roba tutta colorata. Anche Saverio Costanzo mi piace molto.
Da vera scrittrice detesta viaggiare, è vero?
(Sorride) Il mio mondo finisce a Roma. Non sono mai stata a Napoli. Direi di sì, odio viaggiare: mi mette un’ansia tremenda.